Il pino loricato pinus heldreichii subsp. leucodermis A causa del suo ridottissimo areale il pino loricato non è molto noto. Si trova infatti solamente nel nostro paese sulle cime di una manciata di gruppi dell’Appennino meridionale. Per via della somiglianza con altre specie la sua identificazione ha richiesto lo sforzo di numerosi botanici e mezzo secolo di ripetute scoperte che ogni volta assegnavano alla pianta un nome diverso creando ulteriore confusione. Il primo a riconoscere l’unicità del pino loricato fu il botanico napoletano Biagio Longo nel 1906 il quale non solo identificò la specie come Pinus Leucodermis per via della caratteristica corteccia biancastra leucos in greco ma propose anche il nome comune di pino loricato. Lo scelse per sottolineare la somiglianza tra la corteccia di questi alberi costituita da piastre legnose esagonali e la lorica l’armatura dei legionari romani. Decenni di studi hanno decretato che il pino loricato sia una sottospecie di Pinus heldreichii il pino bosniaco dei balcani. Milioni di anni fa una popolazione di pino bosniaco ha raggiunto l’Appennino meridionale e si è evoluta in totale indipendenza rispetto alla popolazione originaria. Questa è stata molto probabilmente l’origine del pino loricato spiegando perch questo bellissimo albero sia presente solamente nel nostro paese. Le differenze specifiche tra Pinus heldreichii e la sottospecie leucodermis sono da ricercarsi nella corteccia e nella forma degli strobili le pigne . Entrambi esibiscono una corteccia chiara negli esemplari giovani ma mentre nel primo si scurisce in pochi anni nel secondo è mantenuta chiara a lungo. La bellezza del pino loricato è sorprendente specialmente quando ci si confronta con i tanti esemplari monumentali che svettano sulle cime del Pollino. A circa duemila metri di quota i loricati hanno creato foreste che sembrano fortezze erette a difesa dell’inarrestabile avanzata del faggio. Il contrasto tra i due alberi è netto e racconta del delicato equilibrio che regola la coesistenza delle due specie tra questi monti. Quando il sentiero si avvicina alla sommità della Serra di Crispo si entra in una fitta e buia faggeta. Solo quando si è ormai vicini ai duemila metri un po’ di luce comincia a filtrare tra le chiome lasciando scoperto qualche pezzetto di cielo. Poi all’improvviso i faggi si diradano e lasciano spazio a radure pietrose. Una decina di metri più in alto ecco i primi pini loricati a presidiare la loro città arborea. Il Giardino degli Dei: una foresta che non potrebbe essere più diversa dalle faggete con cui confina. A differenza del faggio il pino loricato dà vita a foreste molto rade dove c’è grande distanza tra le singole piante. Più che boschi quelli del loricato sembrano giardini dove gli alberi sono stati con sapienza posizionati nei punti più adatti. Anche sulla Serra di Crispo è così. Tra una pianta e l’altra si susseguono cespugli di ginepro piccole torbiere e dorsali calcaree che creano gradoni dove i loricati affondano poderose radici. L’unione di questi elementi naturali e le grandi piante monumentali rendono Il Giardino degli Dei un luogo bellissimo ma anche malinconico ed epico. Le grandi piante mostrano i profondissimi segni della loro esistenza secolare. Come succede agli alberi vetusti gli esemplari più antichi perdono il portamento tipico della propria specie e ne assumono uno più irregolare e disordinato. Essi alternano ciuffi di aghi su pochi rami vegetativi a grandi porzioni legnose secche e scheletriche. Gli alberi si trasformano diventando monumenti. Chiazze di aghi scuri legno morto slavato dalle intemperie e brandelli di corteccia vitale coesistono sulle stesse piante tormentate dal vento. A rendere ancor più impressionante la foresta del Giardino degli Dei è la presenza di tanti alberi secchi ancora perfettamente eretti. È caratteristico del legno del pino loricato non marcire e preservarsi a lungo. Il merito è dell’abbondante resina prodotta da questa pianta. Essa tiene lontani i parassiti e impedisce la marcescenza: quando un pino loricato muore difficilmente crolla al suolo. L’atmosfera che si respira lassù è davvero solenne e non si addice alle parole degli uomini. In ogni tronco si intuisce potente l’antichità del luogo la foresta appare oggi come già doveva essere decine e forse centinaia di migliaia di anni fa. Il pino loricato è una pianta particolare perch capace di adattarsi ad ambienti altrettanto particolari ed estremi. Le creste rocciose dove prospera nel Pollino sono caratterizzate da inverni lunghi e nevosi ed estati siccitose. I suoli che si trovano lassù sono molto primitivi e poveri di elementi nutritivi. Il loricato è ben adattato a simili condizioni. Grazie a radici plastiche estremamente resistenti esso si aggrappa alla nuda roccia resistendo alle tempeste che si abbattono sulle creste. Il pino loricato è dunque riuscito nell’impresa di occupare una nicchia ecologica difficile e raramente ambita da altre specie. Nonostante la sua resistenza questa specie non ha vissuto tempi floridi nel recente passato. A causa dell’ampliamento dei pascoli e del legno prezioso i pini loricati sono stati oggetto di uno sfruttamento notevole e molte piante sono state abbattute. Gli esemplari superstiti si trovano nei luoghi più impervi e accidentati dove l’uomo ha avuto difficoltà ad arrivare. Fortunatamente le cose sono cambiate e la specie è oggi tutelata grazie all’istituzione di diversi parchi. Le caratteristiche uniche del pino loricato non solo lo rendono una pianta molto resistente ma anche estremamente longeva. Non è un caso se l’albero più antico d’Europa sia proprio un esemplare di pino loricato rinvenuto nel Pollino. L’albero è stato scoperto da un gruppo di scienziati dell’università della Tuscia. Analisi dendrologiche studio degli anelli di crescita e datazioni al carbonio 14 hanno rivelato che uno dei loricati del Pollino ha un’età di 1230 anni. Si tratta quindi della pianta più longeva d’Europa. L’albero è stato chiamato Italus dal nome del mitico re degli Enotri un’anticha popolazione della Calabria. Per tutelarlo gli studiosi non hanno voluto divulgare la sua posizione precisa. Attentati nei confronti di esemplari monumentali di pino loricato sono infatti già avvenuti in passato. Come nel caso dell’enorme pino della Grande Porta del Pollino bruciato nel 1993 in segno di protesta contro l’istituzione del parco del Pollino. Le specie distribuite su un areale ridotto e frammentato nascondono spesso storie travagliate e interessanti come raccontato nel caso del Camedrio alpino. Ciò vale anche per il pino loricato ma a differenza del camedrio esso non è un relitto glaciale come invece molti riportano. Il pino loricato non si è infatti diffuso nell’Appennino meridionale durante le epoche glaciali anzi. Esso arrivò sugli Appennini ben prima che le ere glaciali del Pleistocene cominciassero a susseguirsi. Il pino è con tutta probabilità un relitto della flora antica che popolava gli Appennini nel tardo Pliocene circa tre milioni di anni fa. A quell’epoca il clima mediterraneo era più caldo e secco di quello attuale. Ciò favorì l’arrivo del pino bosniaco adattato alle estati siccitose dei Balcani che cominciò a prosperare e ad occupare vaste aree appenniniche. Le successive glaciazioni cominciate circa un milione di anni fa portarono climi più umidi poco adatti al pino loricato. Nuove specie cominciarono a prosperare nell’Appennino e il loricato si ritirò dove le condizioni erano avverse ai nuovi concorrenti arborei. Si isolò sui massicci più alti dove il contrasto tra i rigidi inverni e la siccità dell’estate è massima. I pini loricati non sono quindi un relitto glaciale bensì un relitto pliocenico. Sono vestigia di un clima molto più antico di quello delle glaciazioni del Pleistocene. Oggi il pino loricato è spesso in competizione con il faggio. Le foreste del loricato sono infatti a diretto contatto con fitti boschi di faggio come mostrato nelle fotografie. Passare dalla faggeta alla pineta è come attraversare la prima linea. Si intuisce che in quella sottile striscia di terra i due alberi stanno portando avanti una strenua guerra di posizione. I due eserciti arborei si scrutano e sono pronti ad avanzare a ogni passo falso dell’avversario. Fino a pochi decenni fa si temeva che il faggio potesse definitivamente avere la meglio sul loricato mettendo a rischio la sua sopravvivenza. Oggi però si osserva il contrario. Il pino loricato si sta infatti lentamente espandendo ai danni delle faggete limitrofe e colonizza territori a quote sempre inferiori. Anche gli esemplari pluri secolari grazie all’analisi degli anelli di crescita crescono a ritmi maggiori rispetto al recente passato confermando una fase positiva per questa specie. Motivo di ciò sembrerebbe il cambiamento climatico e più in particolare la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature estive. Queste sono dannose per il faggio che ama l’umidità fresca ma non per il loricato che anzi trova in queste condizioni un clima più simile a quello pliocenico. Ottima notizia per il loricato quindi ma non per tantissime altre specie viventi. Il cambiamento climatico sta portando a grandi enormi cambiamenti nel mondo naturale. Per alcuni organismi essi sono positivi per altri sono invece negativi esattamente come succede nei confronti del binomio vegetale pino loricato faggio. La specie umana si è interamente evoluta e sviluppata durante il quaternario sapere che il clima sta sempre più assumendo le caratteristiche che aveva durante il Pliocene non è quindi una buona notizia. Probabilmente il nostro destino sarà più simile a quello del faggio dovremo presto fare qualche passo indietro e rinunciare ad alcuni territori.
Il Pollino è un massiccio montuoso dell Appennino meridionale posto lungo il confine tra Basilicata e Calabria a cavallo tra i mari Ionio e Tirreno con diverse cime che superano i 2.000 m s.l.m. d altitudine: Serra Dolcedorme 2.267 m Monte Pollino 2.248 m Serra del Prete 2.181 m Serra delle Ciavole 2.130 m e 2.127 m Serra di Crispo 2.054 m . Il nome per alcuni deriva dal latino pullus giovane animale da cui mons Pullinus monte dei giovani animali. Ciò forse è dovuto all antica consuetudine di condurre a partire dalla fine della stagione primaverile gli animali al pascolo sui prati in altura. Altra teoria è che il nome derivi dal latino mons Apollineus monte di Apollo Dio della salute e progenitore dei medici a causa probabilmente delle grandi quantità e varietà di erbe medicinali e aromatiche spontanee che vegetano sul massiccio. Una terza teoria afferma sulle basi del ritrovamento nel 2009 di una lastra in marmo probabilmente appartenuta al frontone di un tempio greco posto sul Monte Manfriana che il Monte Pollino possa essere stato un luogo di culto degli abitanti della Magna Graecia. Particolarmente ricche si presentano la fauna e la flora. Tra gli animali in via d estinzione si segnala la presenza del lupo appenninico del gufo reale del capriolo e dell aquila reale. Muovendosi dalle quote più basse è possibile ammirare boschi di castagno che più in alto vengono sostituiti da vari tipi di querce e dal faggio. Tra i 1.000 e i 1.600 metri di quota è possibile imbattersi in uno straordinario ambiente boschivo costituito da faggi aceri e abeti bianchi. È possibile avvistare la lontra di fiume specie animale che non può vivere se non in luoghi privi di inquinamento. Tali montagne inoltre costituiscono gli unici habitat naturali rimasti in Italia in cui è ancora presente il pino loricato: pregiata specie arborea simbolo dell omonimo parco naturale che aggrappata alle cime più elevate e scoscese resiste alle condizioni meteorologiche insistenti. L importanza di questo albero si riscontra nel fatto che in Europa rimane superstite in colonie residue oltre che su questo territorio solo sui Balcani. Dal 2015 anno in cui è stata riconosciuta la Rete Mondiale dei Geoparchi quale Progetto prioritario dell’UNESCO il parco ha ottenuto il riconoscimento di Unesco Global Geopark come Pollino Geopark e da ciò ne consegue che tutto il territorio del Parco del Pollino è entrato a far parte del Patrimonio dell’UNESCO. Il Pollino Geopark racchiude 69 geositi ricadenti all’interno del proprio territorio comprendendo circhi glaciali depositi morenici nevai fossili di Rudiste particolari formazioni rocciose grotte Grotta del Romito gole Raganello Lao Rosa e Garavina pianori carsici doline inghiottitoi Abisso del Bifurto timpe e vette che superano i 2000 metri di quota.
Il Volturino con i suoi 1.836 m d altitudine costituisce la cima più elevata del comprensorio montuoso in cui è situato. Sino a primavera inoltrata le sue vette rimangono abbondantemente innevate. Il ricco patrimonio forestale si compone di faggi castagni cerri aceri e carpini. All ombra dei faggi molti dei quali secolari crescono gli ellebori le dentarie le stelline odorose le orchidee selvatiche e i ciclamini. L amenità dei luoghi e la lontananza dai grossi centri abitati contribuiscono alla conservazione di specie animali ormai rare come la lontra il lupo e il gatto selvatico. Durante le escursioni nei boschi è facile avvistare ricci volpi faine scoiattoli e cinghiali. Tra i volatili si registra la presenza della ghiandaia e del nibbio reale. La stazione sciistica del Monte Volturino è servita da uno skilift ed una seggiovia lunga 1.200 metri che arriva nei pressi della vetta. Sulla pista principale lunga 2 6 km si svolgono diverse gare invernali.
Dal passo della Sellata si può ammirare la cresta del Monte Pierfaone 1.740 m . Nella vallata sottostante si intravede la frazione di Arioso e il colle dove sorgeva il casale medioevale di Castel Glorioso. La parte bassa della vallata è attraversata dal tratto iniziale del fiume Basento. Vi è la presenza di un fitto bosco di faggio con esemplari altissimi che formano una galleria di verde oltre il quale si arriva al passo della Sellata 1255m . Questo si divide in quattro strade tutte belle da percorrere che raggiungono Pignola Abriola la frazione di Arioso ed i campi da sci di Pierfaone. È possibile anche effettuare escursioni nel bosco di Rifreddo e al Santuario di Monteforte. Buona parte del territorio è ricoperta da foreste che sul lato nord si affacciano sul Pantano di Pignola ove si trova l omonimo lago oggi oasi del WWF. I boschi sono costituiti prevalentemente da varie specie di cerro farnetto e nei luoghi più umidi pioppo salice ed acero. Al di sopra dei 1.000 1.200 m domina il faggio a cui si associa nelle località più umide e fredde il nordico abete bianco. La Sellata è caratterizzata dalla presenza di querce e faggi con un sottobosco ricco di agrifoglio. Si possono trovare anche ginestre biancospino e pruno selvatico. Queste montagne offrono un sicuro riparo ad una ricca fauna: il lupo appenninico la volpe il riccio lo scoiattolo il daino e il cinghiale oltre che numerosi rapaci come il nibbio bruno e reale la poiana il gheppio. Le nevicate abbondanti la posizione panoramica e le strutture di cui è dotata ne fanno una delle più interessanti stazioni sciistiche dell Appennino meridionale: circa otto km di piste servite da cinque impianti di risalita tappeti sciovie ed una seggiovia . Il versante sud skiarea Sellata 1.450 m 1.731 m usufruisce di una sciovia e di una seggiovia serventi quattro piste mentre quello rivolto a nord skiarea Arioso 1.600 m 1.713 m è dotato di tre impianti di risalita al servizio di cinque piste.
Situate nell Appennino lucano le Piccole Dolomiti lucane costituiscono il cuore dell omonimo parco naturale regionale che si estende alle foreste di Gallipoli Cognato . Tali montagne sono così chiamate in quanto le loro cime sono caratterizzate da alte guglie che ricordano alcune delle vette più note delle Dolomiti alpine con forme così particolari da aver suggerito nomi molto fantasiosi. La nascita del gruppo montuoso che domina la parte centrale della val Basento risale a 15 milioni di anni fa. Il punto più alto è quello del M. Caperino 1455 m e del M. dell Impiso 1319 m . Altre cime rilevanti sono l Incudine la Grande Madre e l Aquila Reale i picchi delle Murge di Castelmezzano e quelli del monte Carrozze. A ridosso delle vette delle Dolomiti Lucane vi sono i Comuni di Castelmezzano e Pietrapertosa posti rispettivamente a 870 e a 1.090 metri sul livello del mare. Da questi paesi è possibile ammirare l’incredibile paesaggio delle Dolomiti nonch percorrere i numerosi sentieri con i quali raggiungere i posti più suggestivi. Il territorio presenta un alternanza di boschi di querce e picchi sui quali nonostante la natura rocciosa degli stessi riesce a prosperare una flora rara e interessante con specie vegetali peculiari come la valeriana rossa la lunaria annua e l onosma lucana. La fauna oltre ai cinghiali numerosissimi presenta una notevole varietà di volatili: nibbio reale rondone gheppio corvo reale e falco pellegrino. Il parco regionale di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane è un area naturale protetta. Presso la sede nel comune di Accettura si trovano un museo naturalistico un orto botanico laboratori ed un centro informazioni. Il centro visite Pian di Gilio si trova nei pressi delle oasi faunistiche del daino e del cervo. Sempre nel comune di Accettura lungo la via del Maggio si trova il Museo dei culti arborei. L esigenza di tutelare i boschi di Gallipoli Cognato e le Dolomiti lucane era stata segnalata già nel 1971 quando il CNR aveva individuato il comprensorio come biotopo da salvaguardare. Venne allora istituita la riserva statale di Monte Croccia a tutela dell area archeologica di Croccia Cognato che conserva i resti di un insediamento preistorico degli antichi Lucani databile tra il VI ed il IV secolo a.C.. Negli anni successivi furono presentate diverse proposte di legge per l istituzione di un parco tematico ed i comuni interessati provarono a costituire un consorzio per l istituzione di un area protetta ma il parco naturale venne istituito solo nel 1997. Sui territori di Accettura Calciano ed Oliveto Lucano si estende per circa 4200 ettari la foresta di Gallipoli Cognato che parte dal fondovalle del Basento e arriva ai 1319 m s.l.m. del monte Croccia. In territorio di Accettura vi è anche il bosco di Montepiano un antica cerreta coltivata a bosco deciduo che si estende per circa 800 ettari. Ad Accettura si tiene ogni anno a partire dal giorno di Pentecoste la festa del Maggio un tradizionale rito nuziale tra due alberi provenienti dal bosco di Montepiano e dalla foresta di Gallipoli Cognato. A testimonianza dell importanza che i culti arborei hanno in questa parte di Appennino lucano altre feste di sposalizio degli alberi vengono celebrate anche ad Oliveto Lucano a Castelmezzano ed a Pietrapertosa. Nei boschi di Gallipoli Cognato e di Montepiano la vegetazione si differenzia molto a seconda dell altitudine. Al di sotto dei 1.000 m s.l.m. vi sono esemplari di melo selvatico e di acero mentre al di sopra di tale quota domina il cerro con presenze di carpino bianco carpinella agrifoglio e tiglio. Presso i corsi d acqua è presente il frassino mentre nelle zone dove la vegetazione è meno fitta ci sono numerose piante come i ciclamini gli anemoni le felci e la Knautia lucana altra specie endemica. Tra i mammiferi gli esemplari più importanti presenti nell area del parco sono il lupo la volpe il tasso l istrice il gatto selvatico il cinghiale. Daini e cervi sono stati reintrodotti in un oasi faunistica all interno della foresta di Gallipoli Cognato. Il biacco ed il cervone sono i rettili più facili da incontrare. Numerosi sono anche i rapaci: nibbi reali falchi pellegrini poiane e gheppi i più frequenti rapaci diurni mentre tra i notturni vi sono la civetta il gufo e l allocco. Nei corsi d acqua si possono incontrare vari tipi di rane salamandre e tritoni.
Il Vulture è un vulcano spento situato nella parte settentrionale della provincia di Potenza che raggiunge i 1.326 m di altitudine. E’ stato attivo fino al Pleistocene superiore ossia fino a circa 130.000 anni fa con lunghe fasi di quiescenza. Fenomeni vulcanici secondari si sono verificati anche in epoca contemporanea fino al 1820. I versanti del massiccio sono interamente ricoperti da una fitta vegetazione favorita dalla naturale fertilità dei terreni di natura vulcanica. Immersi in uno scenario verdeggiante a circa 660 m s.l.m. si distendono i due laghi di Monticchio tipici laghi vulcanici a forma di ellisse che occupano il principale cratere del vulcano. Pur comunicando tra loro i laghi presentano un diverso colore: il Lago Piccolo ha un colore verdastro mentre il Lago Grande tende al verde oliva. Il Lago Piccolo ha una superficie di 16 ettari e raggiunge una profondità di 38 m. Il Lago Grande ha una superficie di 38 ettari ed una profondità massima di 36 m. La fauna ittica è costituita dall anguilla dal triotto dal persico reale dalla carpa dal carassio dalla gambusia dal cavedano e dalla rovella. Specie segnalate sono tinca persico trota e l alborella appenninica Alburnus albidus . La riserva regionale Lago Piccolo di Monticchio è un area naturale protetta che si estende su una superficie di 187 ettari ed è stata istituita nel 1984. Importantissima presenza faunistica nel parco è quella del lepidottero Brahmaea europaea scoperto dal ricercatore alto atesino Federico Hartig nel 1963. È una falena con apertura alare di ben sette centimetri ed è l unica specie della famiglia Brahmaeidae. Tra le specie vegetali lungo le rive si ricordano roveri e faggi nelle acque le ninfee. I boschi di castagno sono molto pregiati al punto che è stata riconosciuta la denominazione protetta Marroncino di Melfi D.O.P. Altrettanto pregiati sono oltre 1500 ettari di vitigno rosso Aglianico presenti ai piedi del monte. Altra presenza importante è quella di numerose sorgenti naturali di acqua minerale.
Il Pollino è un massiccio montuoso dell Appennino meridionale posto lungo il confine tra Basilicata e Calabria a cavallo tra i mari Ionio e Tirreno con diverse cime che superano i 2.000 m s.l.m. d altitudine: Serra Dolcedorme 2.267 m Monte Pollino 2.248 m Serra del Prete 2.181 m Serra delle Ciavole 2.130 m e 2.127 m Serra di Crispo 2.054 m . Il nome per alcuni deriva dal latino pullus giovane animale da cui mons Pullinus monte dei giovani animali. Ciò forse è dovuto all antica consuetudine di condurre a partire dalla fine della stagione primaverile gli animali al pascolo sui prati in altura. Altra teoria è che il nome derivi dal latino mons Apollineus monte di Apollo Dio della salute e progenitore dei medici a causa probabilmente delle grandi quantità e varietà di erbe medicinali e aromatiche spontanee che vegetano sul massiccio. Una terza teoria afferma sulle basi del ritrovamento nel 2009 di una lastra in marmo probabilmente appartenuta al frontone di un tempio greco posto sul Monte Manfriana che il Monte Pollino possa essere stato un luogo di culto degli abitanti della Magna Graecia. Particolarmente ricche si presentano la fauna e la flora. Tra gli animali in via d estinzione si segnala la presenza del lupo appenninico del gufo reale del capriolo e dell aquila reale. Muovendosi dalle quote più basse è possibile ammirare boschi di castagno che più in alto vengono sostituiti da vari tipi di querce e dal faggio. Tra i 1.000 e i 1.600 metri di quota è possibile imbattersi in uno straordinario ambiente boschivo costituito da faggi aceri e abeti bianchi. È possibile avvistare la lontra di fiume specie animale che non può vivere se non in luoghi privi di inquinamento. Tali montagne inoltre costituiscono gli unici habitat naturali rimasti in Italia in cui è ancora presente il pino loricato: pregiata specie arborea simbolo dell omonimo parco naturale che aggrappata alle cime più elevate e scoscese resiste alle condizioni meteorologiche insistenti. L importanza di questo albero si riscontra nel fatto che in Europa rimane superstite in colonie residue oltre che su questo territorio solo sui Balcani. Dal 2015 anno in cui è stata riconosciuta la Rete Mondiale dei Geoparchi quale Progetto prioritario dell’UNESCO il parco ha ottenuto il riconoscimento di Unesco Global Geopark come Pollino Geopark e da ciò ne consegue che tutto il territorio del Parco del Pollino è entrato a far parte del Patrimonio dell’UNESCO. Il Pollino Geopark racchiude 69 geositi ricadenti all’interno del proprio territorio comprendendo circhi glaciali depositi morenici nevai fossili di Rudiste particolari formazioni rocciose grotte Grotta del Romito gole Raganello Lao Rosa e Garavina pianori carsici doline inghiottitoi Abisso del Bifurto timpe e vette che superano i 2000 metri di quota.